venerdì 10 gennaio 2014

PANDORA CIBERNETICA, O DEL PLURALE FEMMINILE

di Valeria Bianchi Mian


"Non mi sposo né muoio" scriveva Anais Nin, "e sempre più aumenta la distanza tra la folla, tra gli altri e me". (in: La casa dell'incesto)



Isolati in se stessi, oppure dispersi nella "pazza folla" (e cito qui solo il titolo di un'opera del grande Thomas Hardy) i pazienti che cominciano una psicoterapia hanno l'opportunità di dare avvio all'opera alchemica che li porterà a morire simbolicamente e a sposarsi interiormente. 
Forse.
Non è un percorso semplice, non è una strada facile. 
Non è scontato che si arrivi ad una meta significativa.
Perché tentare, allora?
Continuerei a parlare di femminile, sia nel senso di donne in terapia, sia nel senso di principio femminile e Anima dei pazienti uomini.
Ho lavorato per diversi anni in servizi dedicati a sole donne o soli uomini: senza fissa dimora, tossicodipendenti, un anno come volontaria nelle carceri. I due sessi, anche se isolati, sono sempre e comunque allo specchio, si specchiano interiormente ma spesso e volentieri lo specchio è in frantumi. 
Nella mia esperienza professionale ho incontrato tante volte un plurale femminile in cocci.
Frammenti di un discorso femminile, o discorsi d'Anima a pezzi.
Se mi guardo intorno, se accendo la televisione, se ascolto il vociferare del mondo contemporaneo, se accolgo le persone che iniziano a chiedere aiuto vedo questi stessi "pezzi di donna" mascherati da smagliante prospettiva: donne che non sanno invecchiare, donne che non vogliono crescere, donne che non possono scegliere... controparti di uomini altrettanto sedimentati nell'archetipo del Puer Aeternus, altrettanto distanti dall'Anima, entrambi fluttuanti in stratosfere ideali, levigati sul modello delle offerte mediatiche.
Si comincia da qui.
Ricercando i pezzi di un puzzle che diventerà solo con fatica e impegno una declinazione al plurale.
Ricercando "i vizi" che ci han portati lontano per dare nuova vita alle bambole e ai burattini che molte donne e molti uomini sentono di essere diventati.
Diventati, non nati, bambole e burattini... 
Dare una vita piena e sensata a Pandora, la bambola che scatenò i vizi nel mondo, il manichino senz'anima, il corpo privato d'identità, la materia muta... tutto ciò è possibile solo se si è disposti ad investire energie psichiche senza credere nei facili risultati.
Non è un concetto molto moderno, forse, dal momento che oggi va di moda tutto quello che "risolve" i nostri  problemi in un batter d'occhio.
Ci vuole lentezza.
Attesa.
Dubbio.
L'alchimista conosce i tempi. 
L'alchimista raduna le proprie membra sparse spogliando se stesso dagli orpelli metallici e meccanici per cercare l'uomo e la donna reale e far rivivere i simboli al di là dell'oggetto.
Il filosofo Porfirio diceva: "Se tu ti eserciti ad ascendere in te stessa, radunando tutte queste membra sparse e suddivise in molteplicità..." (citato da Jung nel Mysterium Coniunctionis, pag.15, nota 26)
E' un augurio per tutti, quello di mettersi al lavoro.
Buon Futuro.
VBM


  

2 commenti:

  1. A proposito di frammenti d'anima. In Giappone esiste l'arte del Kintsugi, che consiste nel ricomporre i "cocci" di ceramiche rotte, riunendoli mediante saldatura ad oro. Questa tecnica conferisce così all'oggetto "riparato", pregi ancora maggiori di quanto fosse già in origine. Le "ferite"non vengono nascoste ,ma riempite e valorizzate con l'oro ^ Buona alchemia !

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  2. Grazie dello spunto... James Hillman a proposito delle cicatrici del Puer Aeternus sottolinea l'elemento di richiamo alla ferita che fu ma anche la nuova pelle, rosea e rinnovata... l'anima... Auguriamo cicatrici rosee e dorate a coloro che, nonostante i cocci, si mettono in viaggio.

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