lunedì 21 maggio 2012


Lauretta Guidetto

La Narratologia e trame ricorrenti nelle narrazioni.


Lauretta Guidetto

                      
Riprendendo il tema dalla narrazione e del narrare, ancora qualche riflessione rivolta in particolare alle trame ricorrenti nelle narrazioni, collegandole  ai ruoli attribuiti ai personaggi all’interno della storia.
Il concetto di narrazione è molto ampio e travalica i confini del racconto orale o letterario; la narrazione è riferibile al mito, alla leggenda, alla fiaba, alla novella popolare, all’epica, alla storia, alla tragedia, al dramma, alla commedia, alla pittura, al cinema, al teatro, alla conversazione. (Bruner,1988) 
I nostri racconti, e nello specifico i "racconti corali",  che incontriamo nei gruppi che proponiamo, e le storie raccontate, si intrecciano con altre storie che abbiamo già ascoltato, con quelle che immaginiamo o vorremmo poter narrare. L’istinto narrativo è antico in noi quanto il desiderio di conoscenza, è il nostro modo di attribuire significati.
J. Hillman (1984) vede la psicoterapia come un processo estetico-artistico, “Nessuno sostiene che l’arte contribuisca a risolvere i problemi. Ci impegnamo nell’arte per amore dell’impegno. Questo ‘fare’, fine a se stesso i greci lo chiamavano poiesis. La psicoterapia è allora una sorta di poesia? E’ forse il modo migliore per immaginarla?” (Hillman, 1983)
All’interno del processo terapeutico  si usano quei criteri selettivi e costruttivi che usa lo scrittore nel produrre una storia, nell’aiutare il paziente a “ri-scrivere la sua biografia”, si diventa “co-narratori”.
Il pensiero narrativo si trova alla base di un modo di rappresentare e conoscere il mondo guidato da regole portatrici di senso, prescrittive, tematiche.
Nella situazione analitica vi sono due testi e  due lettori che agiscono su materiale vivente e in perenne riscrittura e trasformazione, ma qualcosa possiamo importare‚ comunque, dagli studi narratologici.
Si aprono mondi che hanno a che fare con i protagonisti del romanzo familiare‚ con gli oggetti interni‚ con la relazione attuale tra analista e paziente e i personaggi che narrano tutto ciò.
Incessante è dunque l‟opera di tessitura e ritessitura narrativa che si sviluppa in analisi, e anche questa, a seconda dei modelli, gruppale o a due,  prende vita nella stanza d‟analisi. (Antonino Ferro, Riflessioni preliminari su Psicoanalisi e Narratologia)
Il termine “narrativo” ha una storia lunghissima,  fatta di progressive trasformazioni e slittamenti di significato. Privilegiando una prospettiva di tipo letterario, G. Ferraccio[1]  segnala il passaggio del termine da narrative inteso nel senso di narrativa, a narrative discours, termine che ha inaugurato le fortune critiche della narratologia.
Le origini della disciplina si fanno risalire ai formalisti russi e, in particolare, all'analisi condotta da V.J. Propp su un corpo di fiabe russe di magia (Morfologia della fiaba, 1928). Nel tentativo di offrire una descrizione sistematica di questa particolare categoria di narrazione, Propp fornisce un primo modello strutturale del racconto e formula un primo concetto di funzione, ossia «l'azione del personaggio dal punto di vista del suo significato per l'andamento della narrazione». I formalisti russi sviluppano, inoltre, la distinzione tra fabula e intreccio, intendendo con la prima la serie degli eventi considerata secondo i nessi logico-cronologici, e con il secondo l'ordine in cui gli eventi sono presentati nel racconto.
La narratologia, ricerca le trame ricorrenti delle narrazioni  ed evidenzia come  storie apparentemente assai diverse siano in realtà strutturate secondo un unico schema di fondo.
E’ possibile evidenziare per ogni narrazione un modello narrativo, cioè la composizione di una serie di azioni astratte (a differenza dell’intreccio, che è composto dal succedersi di fatti specifici), definite  funzioni dallo studioso russo Vladimir Propp in un celebre studio sulle caratteristiche delle fiabe russe (Morfologia della fiaba), applicabile a qualunque situazione narrativa.
In una fiaba non è molto importante che vi siano una “strega” o un “drago”,  ad ostacolare il cammino ad un viandante, quello che conta è l’azione che ha lo  scopo di intralciare l’eroe nella sua impresa.
Il mito, la leggenda, il racconto popolare, l’epica e la fiaba, sono le più antiche forme di narrazione la cui esistenza, la cui struttura sono determinate dal fatto di essere state trasmesse secondo una modalità di comunicazione orale.
Con l’affermarsi e l’estendersi dell’uso della scrittura, tali forme narrative tradizionalmente orali sono state lentamente assorbite nel processo di nascita di una tradizione di comunicazione scritta, di una tradizione letteraria. 
Narrazione può essere definita ogni forma testuale di racconto, orale, scritta, visiva, attraverso cui qualcuno ci narra una storia.
Gli studi sulla morfologia della fiaba[2], esaminano  sia la struttura morfologica, ma anche quella logica, ponendo le basi per lo studio della favola come mito. (Propp, 1988, p.3)
Particolare interesse ha ricevuto il tema sulla  ricerca di spiegazioni di uno stesso tema nella favola in paesi diversi ed anche distanti tra loro, che vanno dalla Russia, Germania, Francia, India, Nuova Zelanda, essendo l’esistenza dei rapporti di questi popoli indimostrabile.
Nelle favole, vi sono grandezze “costanti” e grandezze “variabili”, i nomi dei personaggi cambiano ed anche i loro attributi, ma le azioni rimangono le stesse (o funzioni),  ne consegue che la favola frequentemente attribuisce un identico operato a personaggi diversi.
Le funzioni sono straordinariamente poche e i personaggi viceversa numerosi, questa è da intendersi  l’ambivalenza della favola, la sua varietà, ma nello stesso tempo la sua sorprendente uniformità e ripetibilità.
Per individuare le funzioni della fiaba, innanzitutto non si deve tener conto del personaggio esecutore, da considerare è il significato della funzione nella vicenda narrativa.  
Individuate le funzioni, resta da determinare come si combinano tra loro e la loro successione degli eventi, che  non è mai casuale, bensì ha le sue leggi, come la narrazione letteraria.
“Per quanto riguarda la favola questa ha le sue leggi del tutto specifiche e particolari. (…) la successione degli elementi è scrupolosamente identica e la possibilità di variazioni ha limiti quanto mai ristretti che possono essere indicati con esattezza” (ibidem)
I temi delle favole sono universali, per G.P. Caprettini è meglio ancora definirli “transtorici”: sono presenti in una determinata realtà empirica, ma traggono  la loro ragion d’essere dalla capacità di attingere a un background, che è fuori dal divenire storico, che è insieme, “tradizionale, arcaico e originario: per questo viene chiamato archetipico” (Caprettini,1997, p.24)
Ponendo l’accento sulla genesi e sulla tradizione della fiaba, cioè sulla sua oralità, forse non bisognerebbe parlare di “testo”, in quanto vi sarebbe un oggetto culturale  valido nel tempo e per il tempo in cui si produce, ma che necessita di essere narrato  al di là della situazione in cui è stato narrato.
“L’oralità non produce testi in senso stretto ma effetti memoriali: noi sappiamo che se un ‘testo’ di questo tipo è ascoltato e poi riferito ad altri, viene trasformato, non appare più come il testo di partenza, e tuttavia può continuare ad essere identificato con quel testo, con quella fiaba. Ne deriva che tale testualità  si perpetua attraverso le trasformazioni, nonostante le trasformazioni.” (ib.,p.27)
Il narratore nell’esporre le fiabe, raramente inventa, bensì raccoglie materiale da altri o dalla realtà esterna per poi impiegarlo nella favola; quindi il singolo prodotto testuale è identificato non in quanto fedele o identico ad un originale, ma in quanto riconosciuto dalla comunità come una parte costitutiva del proprio patrimonio.
Caprettini, parla in questo caso di una ‘socialità transtorica’ che perdura e si conserva in quanto si fa garante della propria funzione comunicativa.
“L’analisi degli attributi rende possibile l’interpretazione scientifica della favola. Sul piano storico ciò significa che nelle sue basi morfologiche la favola di magia rappresenta un mito.” (Propp,1988,p.96)
Levi-Strauss è d’accordo con Propp  sulla possibilità di equiparare le favole e i miti, benché molte società avvertano una differenza tra i due generi, risulta infatti possibile constatare, come racconti che hanno le caratteristiche di favole in una società, siano miti in un’altra e viceversa.
Le fiabe sono costruite su opposizioni più deboli di quelle che si trovano nei miti: più sociali, morali, che cosmologiche e metafisiche, poiché la favola è una trasposizione attenuata di temi che invece sono amplificati nel mito, sarà quindi meno sottoposta alle pressioni della coerenza logica dell’ortodossia religiosa e di quella collettiva. Con la favola ci sono maggiori possibilità di gioco, le permutazioni hanno maggiore libertà. (ib.,p.181)
Per Levi-Strauss una concezione erronea di Propp, consiste nell’aver visto una priorità storica del mito sulla fiaba. In V. Propp, i “miti più arcaici” costituiscono il campo dal quale le favole traggono la loro origine remota.
Levi-Strauss, vuole sottolineare come invece il mito e la favola sfruttino una  sostanza comune, ma ognuna in modo diverso, la loro relazione non è anteriore posteriore, piuttosto di complementarietà.
Le fiabe sono miti in miniatura, in cui le stesse opposizioni sono riportate in scala ridotta, ed è questo in primo luogo che le rende difficili da studiare.” (ib.,p.183)
Propp, in risposta a queste affermazioni, ritiene il mito quale categoria storica  più antica della favola poichè si fonda su un’invenzione poetica e rappresenta una finzione della realtà.
Il mito è una narrazione di carattere sacrale, esprimendo la fede sacra di un popolo e alla sua veridicità si crede, può assumere la forma di un racconto, quindi per parlare come Levi-Strauss, di una “sostanza comune”, risulterà necessario intendere l’andamento della narrazione o l’intreccio. Vi sono infatti miti costruiti con lo stesso sistema morfologico e compositivo della favola, nella forma  in alcuni casi possono coincidere mito e fiaba.
“La favola ha origini più tarde del mito e giunge un momento in cui per un certo tempo essi possono effettivamente coesistere, ma solo nei casi in cui gli intrecci dei miti e quelli delle favole sono diversi e appartengono a sistemi compositivi differenti. L’antichità classica conosceva  favole e miti, ma i loro intrecci erano diversi.” (ib.,p.225)
Il mito e la fiaba differiscono non per la loro forma ma per la funzione sociale che svolgono.
Nella  fiaba si sono conservate tracce di forme di vita sociale scomparse, studiando questi resti si riveleranno molti motivi della fiaba; ma vi sono anche molti motivi della fiaba che riflettono istituti un tempo esistenti. (ib.,p.22)
Da tempo è stato notato che la fiaba ha dei legami con il mondo dei culti e della religione[3], ha conservato traccia di molti usi e riti e centrale studiare proprio questa connessione.
Risulta raro trovare una completa corrispondenza tra fiaba e rito, l’esistenza di questo parallelismo è estremamente importante per lo studioso del folclore; generalmente si trova una  trasposizione[4] del senso del rito.
La trasposizione, indica che nella vita del popolo sono intervenuti alcuni mutamenti che hanno comportato anche il mutamento del motivo; un tipo di trasposizione è da considerarsi anche la conservazione di un rito al quale è stato attribuito nella fiaba un senso o un significato contrario, il rito è stato usato in questo caso all’inverso.
Solitamente quando viene individuato un nesso fra il rito e la favola, il rito rappresenta la spiegazione del motivo corrispondente nella fiaba. Talvolta accade, che seppure la fiaba risalga al rito, questo sia poco chiaro, mentre la fiaba ha conservato un certo fenomeno del passato in modo tanto completo e fedele da chiarire nella giusta luce il rito. Quindi la fiaba, può risultare “il fenomeno che fornisce una spiegazione” diventando la fonte per lo studio del rito.
Prendendo ad esempio il personaggio della  “strega”, la sua figura è composta da una serie di dettagli, tratti da fiabe diverse che talvolta non corrispondono l’uno con l’altro, non si fondono in un’unica figura.
Nella fiaba ci sono tre forme fondamentali di strega: una è la strega-donatrice alla quale ricorre l’eroe, lei lo interroga e gli concede il cavallo o i doni di cui ha bisogno. Un altro tipo è la strega rapitrice, prende i bambini e tenta di friggerli, ne consegue la fuga e la salvezza. Infine vi è la maga combattiva, che arriva volando nella capanna degli eroi. Ognuna ha un suo tratto caratteristico, ma vi sono anche tratti caratteristici comuni a tutti e tre i tipi. Propp non vuole soffermarsi sulla descrizione particolareggiata dei tre tipi, sceglie un altro punto di partenza: tutto il corso dell’azione, in particolare il suo inizio, (partenza per il paese dei morti) evidenziando come la figura della strega, possa avere un certo nesso con il regno dei morti. (ib.,p.55)
Propp si domanda  quindi, quale sia  il nesso tra la figura della strega e le idee sulla morte, l’esordio della fiaba appare come qualcosa che nasce dalle concezioni riguardanti la morte. La fiaba non ha solo conservato tracce delle concezioni sulla morte, ma anche quelle di un rito, quello di iniziazione[5] della gioventù al sopraggiungere della maturità sessuale.  Il bosco è l’accessorio costante della strega, non viene mai descritto nei particolari, solitamente è buio, terribile e misterioso. L’eroe e l’eroina solitamente vengono a trovarsi in un bosco[6] cupo e selvaggio; il bosco nella fiaba, solitamente svolge il ruolo di ostacolo nel cammino dell’eroe, che viene a trovarsi in una foresta impenetrabile.(ib.,p.60)
Nella fiaba il bosco circonda l’altro reame e la strada che porta all’altro mondo passa attraverso il bosco[7]. Il bosco della fiaba da un lato rispecchia il ricordo del bosco come luogo dove si compie il rito, dall’altra quello dell’accesso al regno dei morti, idee ambedue strettamente collegate tra loro.
La strega si rivela come il personaggio che difende l’accesso al regno in capo al mondo e come un essere legato al mondo degli animali e al mondo dei morti.
Per G.P. Caprettini, la fiaba di magia, viene considerata tale non perché ci siano semplicemente degli oggetti magici che permettono di compiere atti straordinari, ma perché c’è qualcuno che consegna determinati “oggetti magici” a qualcun altro, trasferendo in questo modo parte del suo potere che può consistere, come insegna la fiaba, in qualche capacità soprannaturale. La fiaba di magia ha inoltre dei profondi collegamenti con il sogno; a tal proposito riporta  le considerazioni di uno studioso rumeno Nicolai Hasedeu (circa 1890)” , che si occupò delle origini dell’immaginario umano. Riteneva infatti che la fiaba e il sogno avessero qualcosa in comune, principalmente perché il sognatore o l’eroe vengono spostati in un altro luogo rispetto a quello in cui si trovava durante la veglia o alla partenza del viaggio, “ e poi per ragioni conseguenti: nel sogno spesse volte si sogna di essere su mezzi straordinari che consentono spostamenti fantasiosi, spostamenti che non sarebbero possibili con i mezzi a disposizione dell’esperienza normale, quotidiana.”[8]
Caprettini parla di sogno, come di un ‘luogo narrativo’, in cui saltano o vengono ridiscusse determinate logiche del mondo corrente.
Il sogno, in quanto testo e prodotto significativo, è un fatto culturale, si può quindi parlare dell’influsso della cultura sul sogno.



Bibliografia

1.      CAPRETTINI G.P. (1997), Semiologia del racconto, Bari: Laterza.
2.      FERRACCIO G. (1994), Fatti e finzioni nei generi letterari, in: C.G.Barbisio, Trasformazioni e Narrzioni, Torino: Tirrenia Stampatori.
3.      Hillman J. (1983) Healing fiction. trad.it. : Le storie che curano, 2006. Milano, Raffaello Cortina Editore
4.      PROPP V. (1997), Istoriceskie korni vosebnoj skazki. Trad.it. Le radici storiche dei racconti di magia, Roma: Newton Campton.
5.      PROPP V. (1988), Morfologia della fiaba, Torino: Einaudi.



[1] G.Ferraccio, Fatti e finzioni nei generi letterari, in C.G.Barbisio,1994,Il recupero dell’esperienza attraverso la narrazione,Torino: Tirrenia Stampatori. pp.95-107.
[2] fiaba e favola sono usate come sinonimi
[3] Engels nella sua opera: L’Antiduring, considera tutte le religioni il rispecchiamento fantastico presente nella mente degli uomini, di quelle forze esterne che dominano la loro vita quotidiana, dove le forze umane assumono la forma di forze sovrumane.  La religione per Engels è il rispecchiamento delle forze della natura e delle forze sociali.(Propp.1977,p.23)

[4] Per trasposizione Propp intende, la sostituzione nella fiaba di un elemento o alcuni presenti nel rito, divenuti inutili o incomprensibili a causa dei mutamenti storici, con un altro elemento più comprensibile.(Propp,1977)

[5] Questo rito ha profonde unioni con le concezioni sulla morte tanto da doverli analizzare entrambi per comprenderli vicendevolmente.
L’iniziazione è uno degli istituti propri dell’ordinamento tribale. Il rito si compie al sopraggiungere della maturità sessuale, in questo modo il giovane viene introdotto nella comunità  tribale, diventando membro della tribù e ottenendo la potestà di contrarre il matrimonio. Questa è la funzione sociale del rito. Si suppone che durante il rito il ragazzo muoia e che successivamente risorga un uomo nuovo. Si tratta della cosiddetta “morte temporanea”.(Propp 1977,p.58)  Il rito veniva sempre celebrato nel folto della foresta, in assoluta segretezza. Tale rito era accompagnato da torture fisiche e mutilazioni. Un’altra forma di morte temporanea, consisteva nel bruciare, cuocere, tagliare a pezzi simbolicamente l’adolescente e farlo nuovamente risorgere. Il ragazzo risorto, riceveva un nuovo nome e gli venivano impressi  sulla pelle i marchi del rito celebrato. Il ragazzo a questo punto era sottoposto a un tirocinio, dove imparava le regole della caccia e della vita sociale, tutto quanto risultava necessario nella vita.(ibidem)
L’iniziando si comportava come se andasse incontro alla morte, convinto che sarebbe morto e in seguito risuscitato.(ib.,p.59)

[6] Molto stretto è il legame tra la foresta della fiaba e quella presente nella cerimonia dell’iniziazione.(ibidem)
[7] Nell’antichità la maggior parte degli accessi al mondo sotterraneo era circondata da un’impenetrabile foresta vergine. (ib.,,p.60)


[8] G.P.Caprettini, Ripensare i valori. Soggetti e oggetti nel racconto,in C.Gallo Barbisio,1997, Trasformazioni e narrazioni,Torino:Tirrenia stampatori,pp.267-272.p.270.

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